È concordando la pena che vogliono chiudere il processo d'appello. Scelta processuale, nel secondo passaggio in aula, adottata da nove degli undici imputati del processo legato all'inchiesta antidroga della polizia, nome in codice «Tritone», perché proprio la zona della fontana che porta lo stesso nome, sarebbe stato uno dei punti nevralgici dello spaccio. Gli altri due imputati vanno avanti con il processo senza avanzare alcuna proposta.
E per loro il sostituto pg Lucia Brescia ha chiesto la conferma della pena rimediata in primo grado. Così per il trentenne Andrea Ambra al quale erano stati inflitti un anno e 10 mesi e per la trentunenne Rosa Puzzanghera con un anno e 8 mesi.
La richiesta di concordato di pena – con l'assenso della procura generale – è stata avanzata dal cinquantaseienne Vincenzo Ferrara già condannato a 18 anni e 4 mesi in continuazione, così come in prosecuzione con altre sentenze è stato condannato a 17 anni il fratello, Ivan Ferrara.
E, ancora, il trentenne Alessio Maickol Abbate che di anni ne aveva rimediati 11, il cinquantacinquenne Giuseppe Fiume e il sessantenne Salvatore Mastrosimone con 7 anni e 4 mesi a testa, il trentatreenne Angelo Sferrazza al quale erano stati inflitti 7 anni, il trentacinquenne Eros Toni Castello condannato in primo grado a 6 anni e 10 mesi, il ventiduenne Alex Lauria che s'era ritrovato con la pena a 6 anni e, infine, il quarantacinquenne Gianluca Giuseppe Raniolo con 2 anni e 10 mesi
Associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, spaccio, tentata estorsione ed estorsione, le contestazioni che, a vario titolo, sono state mosse a carico degli undici imputati – assistiti dagli avvocati Davide Anzalone, Ernesto Brivido, Dino Milazzo, Davide Schillaci, Boris Pastorello, Giuseppe Iacuzzo, Giuseppe Piazza e Davide Limoncello – ora al cospetto della corte d'Appello, presieduta da Roberta Serio.
Secondo lo spaccato tracciato dagli inquirenti, alcuni tra i sospetti pusher avrebbero pure malmenato assuntori in debito con loro. Durante le indagini le videocamere spia piazzate dalla polizia nelle zone di spaccio, avrebbero “catturato” centinaia di episodi di cessione.







