E’ ripreso questa mattina a Caltanissetta, dinanzi al giudice Francesco D’Arrigo, il processo a carico dell’ex brigadiere dei carabinieri Walter Giustini e di Maria Romeo, accusati di depistaggio, calunnia e falsa testimonianza in merito alla cosiddetta “pista nera” per la strage di Capaci, ovvero al possibile coinvolgimento di estremisti di destra (eversivi), in particolare legati a Stefano Delle Chiaie e ad altri ambienti neofascisti, nell'attentato costato la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta. L’accusa nei confronti dell’ex brigadiere Giustini è di aver concorso nel depistaggio, mentre Maria Romeo, ex compagna di Alberto Lo Cicero, collaboratore di giustizia poi deceduto, è di falsa testimonianza. I due imputati sono difesi dagli avvocati Emilio Francesco Buttigè e Sonia Battagliese.
Questa mattina è stato sentito come teste in videocollegamento il generale Borghini, all’epoca dei fatti comandante del gruppo carabinieri di Palermo, che rispondendo alle domande della pm Nadia Caruso ha detto: “Nel ‘’92 Bruno Contrada mi telefonò una mattina facendo riferimento al brigadiere Giustini. Il primo compito del comandante all’epoca era quello di difendere il proprio personale da eventuali critiche e attacchi e quello feci. Il dottore Contrada disse che le attività investigative del brigadiere Giustini disturbavano altre indagini che stavano facendo e io risposi che la soluzione era facile: bastava andare in Procura e sottoporre il problema all’autorità giudiziaria”. “Io non potevo bloccare un sottufficiale che stava facendo attività di polizia giudiziaria e non presi nessuna iniziativa nei suoi confronti. Preciso – ha aggiunto il generale – che non ho diretto ricordo di questa chiamata, me la ricordò il giudice Scarpinato. Come facesse il dottore Scarpinato ad esserne a conoscenza io non lo so. Sarei portato a ritenere che venisse controllato non il telefono del centralino dei carabinieri, ma quello del dottore Contrada”.
Sempre questa mattina ha deposto come teste il generale Gianfranco Cavallo. “Nel ’92 ricordo che una confidente di un mio maresciallo, Maria Romeo, fece delle dichiarazioni su Stefano Delle Chiaie – ha detto in videocollegamento il generale Cavallo – e un suo coinvolgimento nella strage di Capaci. Il maresciallo Parrucchella me lo comunicò e io feci un’informativa. All’epoca stante la gravità della notizia e l’importanza delle dichiarazioni, portai la nota al procuratore della Repubblica della Pretura di Palermo Salvatore Celesti e mi recai direttamente dal procuratore aggiunto Vittorio Aliquò, il quale mi disse che bisognava approfondire. Dopo quelle dichiarazioni – ha continuato il generale Cavallo – avevamo fatto dei controlli ai terminali dai quali risultava che in effetti Delle Chiaie in quel periodo era stato in Sicilia perché era stato sottoposto a controlli a Villa San Giovanni dove si era imbarcato. Saltò fuori che Delle Chiaie aveva dei precedenti per associazione a delinquere e altri reati. Questo era l’unico accertamento che potevamo fare, perché non potevamo svolgere indagini e quindi mi limitai a fare l’informativa”. “Ricordo di non aver parlato di questa nota con il brigadiere Walter Giustini e quindi neanche con il suo superiore”, ha spiegato. Alla domanda dell’avvocato Buttigè se l’unica fonte di Parrucchella fosse soltanto la Romeo o anche il suo compagno Alberto Lo Cicero, il teste ha risposto di non avere un ricordo chiaro, confermando le dichiarazioni rese in precedenza. La prossima udienza è fissata per il 15 dicembre alle 10.30.








