Un mezzo per informare i lettori e non un’arma per colpire un bersaglio, soprattutto se quest’ultimo è un privato cittadino. Un giornale non può e non deve essere lo strumento per sentirsi i padroni della città o per mettere alla berlina un cittadino qualunque, esponendolo alla derisione, allo scherno o al pubblico disprezzo. Perché, se chi fa politica ha scelto di mettersi in discussione e il suo lavoro amministrativo, non la sua vita privata ovviamente, può e deve essere oggetto di critica e di controllo da parte dei giornalisti, le stesse regole non valgono quando si parla di un privato cittadino. E il non citarlo espressamente non assolve il giornale dalle sue responsabilità soprattutto se si fa in modo che il bersaglio sia facilmente riconoscibile. Ciò che è successo in queste ore a Caltanissetta induce ad una riflessione sul lavoro di giornalista anche per fare chiarezza e per evitare che si perda di vista quello che è l’obiettivo dell’informazione. Partiamo dal concetto di essenzialità della notizia al quale i giornalisti devono attenersi, sia con riferimento ai contenuti che allo stile di esposizione dei fatti. Oltre alla continenza (l'aderenza ai fatti e l'accuratezza), le caratteristiche di una notizia sono: l'importanza e l'interesse pubblico. Concetti che spesso vengono messi da parte in una logica di clickbait. O meglio, ci auguriamo che la logica sia soltanto questa. Già, perché spesso i giornalisti dimenticano le regole fondamentali del codice deontologico e una notizia per essere deontologicamente corretta deve essere accurata e veritiera, basata su fonti attendibili e citata correttamente. E, cosa fondamentale, vanno distinti chiaramente i fatti dalle opinioni. Quando si parla di opinioni lo si deve fare con un editoriale, pezzo di fondo ben distinto dagli articoli di cronaca. Si tratta di un articolo in cui il direttore o un giornalista molto esperto e conosciuto dal pubblico (una “grande firma”), tratta un problema o un fatto di rilevante attualità. Non certo dunque un articolo non firmato o genericamente firmato “la redazione”. Ma l’editoriale, ricordiamolo, generalmente è un articolo di grande spessore dove si analizzano fatti cittadini e si mette in chiaro qual è la linea editoriale di un giornale su determinati argomenti. Di certo non può essere un modo per attaccare qualcuno che non è gradito o sul quale si vuole scatenare l’odio social. Proprio quello che è successo in queste ore quando una persona che opera nel sociale e che ha aderito, credendoci, ad una campagna di beneficenza, è stato messo alla berlina su un giornale. Un fatto grave, se si pensa che ai giornalisti è severamente vietato creare veri e propri bersagli umani senza dar loro la possibilità di difendersi. Altra questione. Una cooperativa sociale può essere attaccata su un giornale? Sì e no. Ossia, una cooperativa sociale, in quanto soggetto giuridico, è esposta al giudizio pubblico e può essere oggetto di articoli giornalistici che ne valutino l'operato, le performance o la gestione. Ma, c’è un ma. Le critiche devono essere basate su fatti, provati pubblicamente dallo stesso giornale, e devono rispettare i limiti della diffamazione e del diritto di cronaca, inclusa la presentazione di elementi di controbattuta. Insomma carte alla mano, quindi documenti e prove, si può parlare di come viene gestita una cooperativa e se un giornale afferma testualmente che “i dipendenti non vengono pagati o non si rispettano le leggi o si eludono le tasse” lo deve dimostrare. E soprattutto, che non è una cosa di poco conto, si deve dare la possibilità al soggetto di cui si parla di poter controbattere. Si può obiettare che non si sono fatti i nomi. Ma come dicevamo, se i soggetti di cui si parla sono facilmente riconoscibili, questo escamotage non vale e soprattutto si sta analizzando un fatto non con la professionalità dovuta ai lettori ma alla stessa stregua di una chiacchiera da bar. E infine, ma non meno importante. Un giornalista può usare le parolacce? Adoperarle in un articolo non è un reato in sé, ma il suo utilizzo deve essere giustificato dal contesto comunicativo, ad esempio per documentare un fatto o riportare un'espressione, piuttosto che per mero turpiloquio o per attaccare qualcuno. Perché mentre se si riporta una parolaccia come parte di una dichiarazione, il giornalista può utilizzarla per fedeltà e accuratezza di quanto dichiarato, nel caso del mero turpiloquio, si scade nella volgarità, e se, ancora peggio, si offende qualcuno, oltre ad essere moralmente scorretti si rischia anche di essere citati per diffamazione. Questo per quanto riguarda l’aspetto più meramente tecnico, mentre da un punto di vista umano non possiamo che condannare l’attacco nei confronti di chi opera nel sociale dedicandosi ogni giorno a quei soggetti ai margini della società, quelli di cui nessuno vuole occuparsi. Non si può attaccare chi ha scelto di impegnarsi per il bene degli altri come scopo della propria esistenza. Ricordiamo, ovviamente, che quello nell'ambito del sociale è un lavoro previsto dal diritto nazionale e internazionale e per il quale le cooperative sociali ricevono fondi e contributi. La differenza la fa il credere in ciò che si fa e farlo con il cuore. E se mai ci dovessero essere irregolarità, cosa che nel caso di specie non è stata mai riscontrata, è la giustizia a doversene occupare, visto che i giornali non sono tribunali speciali, tramite i quali giustiziare sommariamente chi non ci piace. Piuttosto bisognerebbe tornare al ruolo fondamentale di un giornalista. In America un giornalista è chiamato “Whatch dog” (cane da guardia) perché svolge un ruolo di sorveglianza critica nei confronti del potere, sia politico che economico, al fine di svelare abusi, corruzione e illegalità, agendo come un guardiano della democrazia e dell'interesse pubblico. Il potere dunque, e non chi il potere lo subisce, deve essere sotto la lente di ingrandimento del giornalista. Nella speranza che questo articolo possa indurre ad una seria riflessione su una figura così importante per la società.









Gent.ma Dott.ssa Cinardi,
però un giornalista deve anche essere indipendente e super partes.
E comunque, i giornali nisseni, ad eccezione di TFN, non stimolano il dibattito. È raro leggere interviste in cui le domande dei cittadini vengo poste, attraverso il giornalista, alle autorità.
Alcuni giorni, per esempio, il Vostro giornale è una serie di “ci scrive e pubblichiamo” o di trasmissione di comunicati stampa. Non ricordo, dalle elezioni in poi (e neppure allora) interviste incalzanti al sindaco all’opposizione. Non ricordo articoli in cui si chiede conto al sindaco delle promesse non mantenute, oppure all’opposizione delle loro lamentele su problemi decennali che non hanno risolto nemmeno loro, quando dovevano e potevano.
Attaccarvi tra giornali e giornalisti non è né utile a noi lettori né decoroso per voi.
Rita Cinardi è una cronista dai tempi del Giornale di Sicilia. A differenza di altri ha avuto un ottimo maestro che si chiama Stefano Gallo. Scrive cronaca che altri copiano. Come i casi di Antonella Geraldi o Lino Lacagnina, morti in ospedale. Casi che sono usciti fuori grazie alla sua penna e che altri si sono limitati a copiare. Per cui la sua critica appare ingenerosa nei suoi confronti. Per quanto riguarda le lettere dei cittadini lo fa anche il quotidiano La Sicilia nell’apposita rubrica “Lo dico a La Sicilia”. È un modo per dare voce ai cittadini. Secondo me dovrebbe rivolgere le sue critiche altrove. Quanto meno qui siamo in presenza di una giornalista che non spara a zero sui migranti o i più deboli.
Gent.ma Dott.ssa Cinardi,
Per rispondere al suo articolo e’sufficiente consultare la carta dei doveri dei Giornalisti dove spiega accuratamente come deve essere il lavoro del Giornalista:Il Giornalista deve ispirarsi ai principi della Costituzione Italiana,inoltre e’ diritto insopprimibile dei Giornalisti la liberta’ delle norme di legge dettate a tuteladella professione,rispetto della verita’ sostanziale dei fatti,devono essere rettificate,ecc….
Parole interessanti meritevoli di considerazione e di riflessione.
Tuttavia, a mio sommesso parere, occorrerebbe ricercare le cause che hanno condotto al degrado attuale in diversi ambiti: sociale, politico, culturale, mediatico e via di seguito.
Oggi, purtroppo, assistiamo alla disgregazione dei tanti valori della nostra Carta ormai ridotta a qualcosa di superfluo.
Prima avevamo fior di firme nel settore giornalistico, oggi ci ritroviamo con pennette asservite ai voleri dei politici di turno, che infangano, offendono e distruggono i malcapitati di turno.
Prima avevamo fior di politici, di qualunque credo, che tenevano alto il prestigio italiano, oggi abbiamo politicanti che, in virtù della funzione svolta, esercitano potere ad uso personale e nepotistico e, cosa ancor più grave, senza alcuna ideologia e competenze specifiche.
Basti solo pensare all’imbarcata di miracolati, senza arte nè parte, di un decennio fa.
Quanti soggetti in passato cambiavano casacca in corso d’opera? Oggi è ormai usuale che ciò avvenga, in spregio della dignità personale e truffando l’elettorato
Prima si poteva assistere a dibattiti televisivi politici in maniera serena, oggi sono zuffe funzionali a distogliere l’attenzione dell’ascoltatore per confonderne le idee.
Tutto questo risale al trentennio fa, dove cominciarono i primi turpiloqui e le offese anche personali rivolte ad oppositori politici o a persone non inquadrate.
Infine, l’uso distorto dei social media sta contribuendo a diffondere ulteriormente la cultura del sospetto, della volgarità verbale, spingendo talvolta le personalità deboli ed instabili a gesti estremi.
Il degrado è iniziato trent’anni fa e continua lento ed inesorabile.
Il messaggio della dr.ssa Cinardi è ben chiaro e forte: essere al servizio del cittadino e non funzionale al potente, si fa per dire, di turno.
Noto un’affettuosa e amichevole (seppur, vaga, imprecisa e a tratti di difficile lettura, con l’eccezione del sempre obiettivo e interessante Sig. Zammuto) levata di scudi contro un commento le cui critiche, peraltro, non hanno ricevuto risposta.
Il caso Gerardi, poi, meriterebbe un approfondimento a sé: molti medici sono stati trascinati in quella vicenda in maniera eclatante, ma la loro reputazione non è stata riabilitata con altrettanta enfasi quando i periti hanno dato loro ragione.
Rimane il problema (potremmo definirlo “goldoniano”) dell’obiettività e dell’imparzialità del giornalista, che in alcuni articoli appare in evidente contrasto con l’etica e la deontologia professionale. Ed è questo, in fondo, il vero nodo della questione.
Nel frattempo, alle 16, solo due notizie in prima pagina. Una, sorprendentemente, sull’acqua, L’altra, sempre sorprendentemente, su una cooperativa sociale (comunque, c’è da sottolineare, vittima di una situazione assolutamente scandalosa; pur nella confusione, evitiamo il solito Kind mit dem Bade ausschütten).
A Caltanissetta non sembra essere accaduto altro: non c’è nessuno da intervistare, non ci sono problemi da evidenziare o suggerimenti da dare.
Tutto va bene atiamo tutti bene, oppure la città è chiusa per ferie e siamo tutti in vacanza.
E del comunicato dell’associazione provinciale dei giornalisti su questi fatti: nessuna traccia.
Howard K. Smith, grande giornalista statunitense, negli anni ’60 sottolineava che il ruolo del giornalista è raccontare i fatti, non esserne protagonista.
Nella Carta dei Doveri del Giornalista, parte integrante del corpus deontologico, si sottolinea anche:
“Il giornalista non deve accettare privilegi, favori o incarichi che possano condizionare la sua autonomia e credibilità professionale”.
Adesso, si aspetta solamente che la cavalleria venga in soccorso. Magari con un “riceviamo e pubblichiamo”.