La morte di Giuseppe Romano, ultimo lustrascarpe nisseno, segna davvero la fine di un'epoca. Ci lascia un galantuomo di eccezionale dignità e di straordinaria abilità. Un vero signore sempre garbato e gentile, universalmente voluto bene per la disponibilità con cui ascoltava tutti elargendo benevoli sorrisi pregni di calore umano e discrezione. Era l'ultimo di una categoria che segnò l'era degli sciuscià che caratterizzarono il dopoguerra e che nella nostra città affollarono numerosi il centro storico. Lui e il fratello, che si posizionò all'inizio della discesa della vecchia pescheria, resistettero per tanti anni mantenendo una clientela fedele e affezionata composta da amanti della vera eleganza e da persone che ci tenevano a presentarsi con distinzione. Don Pino era un mago delle scarpe che sapeva con maestria rendere come nuove. Conosceva l'arte dei colori che sapeva miscelare in modo impareggiabile. Usava prodotti ormai introvabili come l'anilina, che preparava personalmente ed era usata solo sul bordo delle suole e sui tacchi, e il lucido Ebano, che dava la giusta lucentezza alle creme precedentemente applicate. Don Pino seguiva una vera e propria liturgia delle scarpe che iniziava dalla rimozione dello sporco, proseguiva con l'applicazione delle creme che venivano lasciate asciugare per alcuni minuti e si completatava con la energica spazzolatura. Il tutto si concludeva con il tocco magico della strofinatura, a scarpe appaiate, con lo straccio di lana. Le scarpe oltre ad apparire lucide e brillanti emanavano un odore inconfondibile. Un rituale irrinunciabile per ogni uomo di qualsiasi ceto sociale e ormai scomparso nell'epoca delle inguardabili e ineleganti sneakers che hanno soppiantato l'eleganza e la solidità del nobile cuoio. Giuseppe Romano oltre ad essere divenuto una figura familiare per tutta la città, fino ad assurgere ad elemento identitario della stessa, è stato un esempio da offrire a tutti i giovani di oggi. Un esempio di come la vera nobiltà sia quella derivante dal lavoro onesto e dignitoso. Egli infatti grazie al suo umile lavoro e al sudore della fronte fu capace di crescere e avviare al lavoro un grande numero di figli. Sfidando fino a tarda età i rigori del clima ha continuato ad essere punto di riferimento per la sua famiglia e per gli amici. Non è un caso che nessuno dei nuovi italiani abbia voluto apprendere il suo mestiere, esso richiede una dedizione e un'umiltà sconosciute alle generazioni inebetite dai social e diseducate dalle varie produzioni come Gomorra e Romanzo Criminale. Giuseppe Romano, con la sua vitalità e dignità, è stato il perfetto interprete di un'Italia uscita distrutta da una sciagurata guerra e capace di rialzarsi con ottimismo, onestà, fiducia. Il mio augurio alla Patria è che possano nascere tante nuove persone come Giuseppe Romano.
Sergio Iacona
Giuseppe Romano e la nobiltà del lavoro, il ricordo di Sergio Iacona: “Un galantuomo di altri tempi”

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