Nonostante l’emergere di varianti meno aggressive rispetto al ceppo originario di fine 2019 e la disponibilità di vaccini e trattamenti, il Covid-19 resta più grave dell’influenza stagionale e comporta un rischio di morte almeno del 76% superiore. È quanto rileva uno studio coordinato dal Korea University College of Medicine di Ansan, in Corea del Sud, pubblicato sull’International Journal of Infectious Disease.
L’obiettivo dei ricercatori era confrontare influenza e Covid-19 per verificare se l’ingresso di quest’ultimo “in una fase endemica”, accompagnato da campagne di prevenzione, ne avesse ridotto la letalità. Nel complesso, sono stati analizzati quasi 13 milioni di casi di Covid registrati tra l’estate del 2022 e la fine del 2023 e circa 3 milioni di episodi di influenza stagionale.
La mortalità a 30 giorni risultava pari allo 0,20% tra i pazienti con Covid rispetto allo 0,016% tra quelli con influenza: un divario di 12,5 volte. A incidere in modo rilevante su tale scarto erano soprattutto le caratteristiche dei malati: i positivi al Covid avevano in media 20 anni in più rispetto ai pazienti influenzali. Anche a parità di profilo clinico e demografico, tuttavia, la differenza restava significativa: il rischio di decesso per Covid era mediamente superiore del 76% e più che raddoppiato in alcune categorie, come i pazienti più giovani, i ricoverati o chi aveva alle spalle un infarto. La forbice risultava invece più contenuta tra gli anziani. “Una possibile spiegazione di queste differenze specifiche per età è la strategia vaccinale implementata in Corea”, osservano gli autori. “Dalla stagione invernale 2022-2023, nella vaccinazione contro il Covid-19 è stata data priorità agli anziani e ad altri gruppi ad alto rischio”. Tale approccio potrebbe aver attenuato l’eccesso di mortalità, determinando un divario minore in questa fascia d’età rispetto ai giovani adulti, concludono i ricercatori.








