Il procuratore generale di Caltanissetta Fabio D'Anna ha depositato ricorso per Cassazione contro la sentenza di assoluzione del giornalista Michele Spena per il reato di diffamazione nei confronti del giornalista Attilio Bolzoni. Per il procuratore generale la sentenza deve essere annullata e disposto un nuovo giudizio in Corte d'Appello poiché la sentenza di assoluzione sarebbe “frutto di una non corretta valutazione dell'articolo 595 c.p. e di un altrettanto non corretta valutazione delle emergenze processuali nel mentre la motivazione posta a fondamento della pronuncia assolutoria presenta aspetti di illogicità e contraddittorietà”. Il caso riguarda il processo per diffamazione a carico dell'editore de “Il Fatto Nisseno” Michele Spena, difeso dall'avvocato Rudy Maira, che, in primo grado, era stato condannato ad una multa di 900 euro oltre che un risarcimento di 3.000 euro nei confronti di Attilio Bolzoni, assistito dall'avvocato Raffaele Palermo. Al centro del processo alcune frasi proferite durante la trasmissione radiofonica “Tony Accesi” da Michele Spena che Bolzoni aveva ritenuto lesive della propria dignità e professionalità. Accuse che, secondo quanto accertato in sede processuale, non trovavano riscontro nella realtà configurandosi dunque come frasi diffamatorie. In appello, tuttavia, la sentenza era stata ribaltata: il collegio giudicante aveva assolto l’imputato “perché il fatto non sussiste”, revocando le statuizioni civili. Ma per il procuratore generale di Caltanissetta la sentenza va rivista, poiché alcune delle frasi di Spena furono pronunciate durante i fuori onda e quando già Bolzoni non era più in collegamento telefonico, e quindi in momenti in cui la parte offesa non era più in grado di difendersi. Il giornalista Attilio Bolzoni infatti venne a conoscenza di quanto stava accadendo soltanto grazie ad un amico. Per il procuratore generale “la condotta oggetto di imputazione non riguardava il dibattito radiofonico tra i due, ma i momenti antecedenti e successivi in cui l'imputato ha formulato accuse indimostrate volte a censurare pubblicamente l'immagine del giornalista Bolzoni, riferendo reiteratamente fatti che non sono stati provati, e quindi da ritenere non fondati”. Richiamando una sentenza della Corte di Cassazione del 2024 il procuratore ha sottolineato come la Corte d'appello abbia fatto “malgoverno del consolidato principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte (sentenza 409/2024) che pronunciandosi sul tema della diffamazione ha affermato che il reato risulta integrato quando il destinatario delle offese non è presente, e ciò anche se egli è posto nelle condizioni di intervenire a breve distanza di tempo. E' ben vero – continua il procuratore generale – che vi è stato tra l'imputato e la persona offesa un dibattito ma ciò non può essere ritenuto sintomatico della percezione in tempo reale delle offese formulate dallo Spena prima del nuovo collegamento anche tenuto conto del fatto che, come riferito dalla persona offesa nel corso del suo esame testimoniale, dell'intervento dello Spena e delle sue affermazioni offensive aveva appreso non direttamente e non immediatamente ma in quanto casualmente informato da un amico non avendo proseguito l'ascolto della trasmissione radiofonica dopo la conclusione dell'intervista”. Dopo la sentenza di assoluzione della Corte d'Appello lo stesso Bolzoni aveva presentato un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura. In seguito alla pubblicazione delle motivazioni, infatti, il gioranlista aveva appreso che il procedimento era stato presieduto dalla dottoressa Roberta Serio, magistrato figlia del dottore Guglielmo Serio. Quest’ultimo, in passato, aveva avviato un’azione civile contro Bolzoni e il gruppo editoriale L’Espresso per un articolo pubblicato nel 2012, chiedendo un risarcimento danni di 200.000 euro. Fu instaurato un giudizio civile che si era concluso nel 2016 con il rigetto della domanda e la condanna di Serio al pagamento delle spese legali. Nel documento, Bolzoni evidenziava come nel 2020 gli eredi del dottor Serio avessero effettuato un versamento di 13.000 euro al gruppo editoriale, “a saldo compensi e spese di giudizio”. Pur dichiarando di non mettere in dubbio l’imparzialità della magistrata, Bolzoni ha ritenuto opportuno segnalare la circostanza, ritenendo che la pregressa controversia potesse rappresentare una condizione potenzialmente idonea a suggerire l’astensione nel giudizio di appello. L’esposto, corredato da copie delle sentenze e della documentazione contabile, era stato inviato olre che al Csm anche al ministro della giustizia, al procuratore generale della Cassazione, alla presidente Corte d'appello di Caltanissetta e al procuratore generale di Caltanissetta “per ogni valutazione e provvedimento ritenuto opportuno”.








