Pubblicato il: 13/01/2025 alle 09:12
Lo accusa di averla stuprata, ma alla fine lui è assolto e lei, poi, è stata condannata per le falsità che avrebbe raccontato. Riferendo pure di averlo appena conosciuto per caso mentre, in realtà, sarebbe stato il suo ex fidanzato. In mezzo vi sono stati due processi, uno per abusi sessuali trascinatosi per lungo tempo con lui che, ingiustamente, ha rischiato fino a dodici anni di galera e un secondo, adesso, in cui la donna da accusatrice s’è ritrovata nei panni d’imputata per falsa testimonianza. Per questo è stata condannata a 2 anni e 6 mesi di reclusione. E dovrà pure risarcire il suo presunto stupratore… che stupratore non era.
Una storia intricata e arruffata al tempo stesso, la cui origine risale a una dozzina di anni fa. Quando la donna, A.B, a quel tempo quarantaquattrenne, ha presentato una denuncia a carico di un imbianchino nisseno. P.V., allora quarantenne, per abusi sessuali. Raccontando che lui aveva eseguito alcuni lavori di pittura in casa sua. Così lo avrebbe superficialmente conosciuto.
E un giorno – sempre secondo la falsa ricostruzione di lei – lui incontrandola per strada l’avrebbe invitata a salire in auto. Da li a poco l’avrebbe violentata. Ne avrebbe abusato contro la sua volontà. Un racconto che lei avrebbe poi girato ai magistrati, finendo per trascinare l’operaio nella polvere. E si è pure costituita parte civile nei confronti del suo ex fidanzato, fingendo pure di conoscerlo appena.
Sì perché lui, una volta indagato, è stato risucchiato nel vortice della giustizia fino a essere rinviato a giudizio con la pesantissima e infamante accusa di violenza sessuale. Imputazione per cui s’è ritrovato alla sbarra in tribunale. Ma lo scenario al centro del dossier processuale avrebbe presentato infiniti coni d’ombra. Solo una fasulla ”verità”. Perché lui non avrebbe mai abusato di lei. Anzi lei lo avrebbe contattato ripetutamente al telefono, scivolando in un atteggiamento che avrebbe avuto del persecutorio. Di lei ai danni di lui.
Ma perché la verità, poi sancita processualmente, venisse a galla sono state necessarie e determinanti le indagini difensive condotte dall’avvocatessa Vania Giamporcaro. Sì, perché attraverso la sua ricostruzione e, soprattutto i tabulati telefonici, sarebbe poi riuscita a dimostrare che la donna avrebbe continuamente contattato il pittore al telefono. In un rapporto, dal punto di vista di lei, quasi morboso.
Alla fine, lottando e vincendo prime resistenze da parte dei giudici per l’ammissione, la difesa del sospetto violentatore è riuscita a fare entrare quegli atti nel procedimento. Ed è stata la svolta. Perché il quadro s’è fatto talmente chiaro da determinare un verdetto pienamente assolutorio nei confronti dell’imputato che mai ha abusato della sua ex fidanzata.
È stata l’avvocatessa Giamporcaro a trascinare in giudizio la donna, denunciandola per le falsità raccontate in quel primo processo a carico del pittore per violenza sessuale. E attraverso quelle precedenti indagini difensive, alla fine, la verità sarebbe venuta a galla. E , adesso, la donna è stata condannata per falsa testimonianza.