Nel cuore di molte città italiane – grandi o piccole che siano – manca qualcosa che dovrebbe essere essenziale quanto le scuole, i trasporti o le farmacie: spazi pubblici pensati per lo svago libero, gratuito e condiviso. Non si parla solo di parchi, ma anche di cortili scolastici aperti, centri civici attivi, aree verdi attrezzate, luoghi di aggregazione giovanile e per il tempo libero degli adulti. Quando questi luoghi non ci sono – o sono inadeguati – la città diventa un ambiente che non invita a restare, a incontrarsi, a vivere. E così si cerca rifugio altrove: nei dispositivi digitali.
Il tempo libero urbano come affare privato
Nel rapporto “Territorio, ambiente e spazi pubblici” pubblicato nel 2022 da Istat, si evidenzia che oltre il 40% dei cittadini in Italia ritiene scarsa la presenza di spazi pubblici per il tempo libero nel proprio comune. Questa percezione sale al 57% tra i residenti delle periferie urbane. Secondo il Rapporto Cittadinanza Digitale 2023 del Censis, il 73% degli italiani trascorre almeno tre ore al giorno davanti a uno schermo, per motivi non legati al lavoro. Una parte consistente di questo tempo è dedicata a contenuti di svago: social network, video, giochi interattivi.
In assenza di alternative reali, è lì che oggi si costruiscono nuove forme di “incontro”: non nelle piazze, ma nei feed personalizzati; non nei circoli culturali, ma nei game show interattivi come crazy time, che fondono grafica spettacolare, suspense e possibilità di interazione da remoto. È il sintomo di un cambiamento strutturale nel modo in cui viviamo – o siamo costretti a vivere – il tempo libero.
Una questione di urbanistica, ma anche di cultura
Come sottolinea il sociologo urbano Giovanni Semi, autore del saggio Spazi contesi, «i quartieri delle nostre città sono sempre più disegnati intorno alla logica del consumo o dell’efficienza abitativa. Gli spazi comuni sono spesso residuali, progettati male o pensati solo come aree di transito, non come luoghi di relazione». In questo scenario, le relazioni si smaterializzano e si digitalizzano, trovando nei mondi virtuali un surrogato dell’esperienza collettiva. È un fenomeno che attraversa tutte le fasce d’età, ma colpisce soprattutto giovani e giovanissimi.
A Milano, Palermo, Torino o Caltanissetta, sono decine le testimonianze di adolescenti che, finita la scuola, non sanno dove ritrovarsi se non nei centri commerciali o sulle piattaforme online. I dati di Save The Children confermano che nelle periferie urbane italiane la povertà educativa è aggravata dalla mancanza di luoghi fisici dove esercitare diritti semplici come il gioco, lo sport, la lettura.
La seduzione del digitale
Il digitale, quindi, diventa non solo rifugio, ma normalità. Le esperienze digitali sono pensate per essere stimolanti, immersive, ad alto impatto visivo ed emotivo. È per questo che attraggono: perché colmano un vuoto reale. I giochi online con la loro estetica colorata e l’effetto “spettacolo continuo”, rappresentano bene questo tipo di offerta. Non sono un problema in sé, ma lo diventano quando diventano l’unica alternativa.
Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di riflettere su cosa succede quando è l’unico spazio a disposizione. Come sottolinea l’architetta e urbanista Giulia Fini, «le città dovrebbero offrire spazi ibridi, capaci di unire gioco, cultura, sport e incontro, accessibili anche a chi non ha possibilità economiche. Quando questi luoghi mancano, l’unico spazio democratico resta lo schermo».
Le soluzioni ci sono: serve volontà politica e sociale
I modelli virtuosi esistono. A Torino, il progetto AxTO ha riqualificato cortili scolastici rendendoli spazi di quartiere aperti anche il pomeriggio. A Bologna, il Bilancio Partecipativo ha destinato fondi alla creazione di “zone ludiche inclusive” proposte dai cittadini. In Sicilia, alcune associazioni di quartiere – come Impact Hub a Siracusa – stanno riconvertendo ex caserme e immobili inutilizzati in spazi multifunzionali.
Tuttavia, queste iniziative restano eccezioni. Perché diventino la norma servono investimenti pubblici strutturali, collaborazione tra enti locali, progettazione partecipata e attenzione reale ai bisogni sociali. Senza spazi fisici accessibili, condivisi e pensati per favorire lo stare insieme, il tempo libero rischia di diventare un’esperienza sempre più solitaria, passiva, mediata dallo schermo.
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